In occasione della XVII Settimana d’azione contro il razzismo ICEI, in qualità di coordinatore della Rete delle Città del Dialogo e lead partner del Progetto ITACA – Italian Cities Against Discrimination, ha avuto il piacere di intervistare il Dott. Triantafillos Loukarelis, Direttore dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) dal 2019.
L’UNAR, istituito nel 2003, si occupa di garantire il diritto alla parità di trattamento di tutte le persone, indipendentemente dalla loro origine etnica o razziale, età, credo religioso, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità. Più nello specifico UNAR monitora cause e fenomeni connessi ad ogni tipo di discriminazione, studia possibili soluzioni e promuove una cultura del rispetto dei diritti umani e delle pari opportunità, fornendo al contempo assistenza concreta alle vittime.
Fra le iniziative promosse da questo ente troviamo la Settimana d’azione contro il razzismo, giunta alla 17° edizione, che quest’anno ha come claim Keep Racism Out.
Ringraziamo il Dott. Loukarelis per il tempo che ci ha dedicato e per l’interessante intervista sulle azioni recenti intraprese dall’UNAR, soprattutto in contrasto alla pandemia, e sugli obiettivi e sulle aspettative future.
Quali conseguenze ha avuto la pandemia di COVID-19, e le relative misure restrittive, sulle pratiche di prevenzione e contrasto alle discriminazioni razziali nel nostro paese? Quali sono le prospettive/priorità del lavoro di UNAR per i prossimi mesi?
La pandemia ci ha dato l’opportunità di occuparci di questioni sociali molto gravi e molto serie, che abbiamo fatto finta di non vedere negli ultimi anni, specialmente a partire dal 2008 quando è iniziata la crisi economica che stiamo vivendo tutt’ora. In nome della salute pubblica siamo stati chiamati a risolvere questioni consolidate relative a persone che vivono particolari vulnerabilità, come le minoranze, persone che non godono dei servizi che naturalmente dovrebbero essere accessibili a tutte le popolazioni.
L’isolamento sociale imposto dalla pandemia ha impedito a tanti la possibilità di ricavare anche quei pochi soldi che erano in grado di dare un minimo di sussistenza a se stessi e alle proprie famiglie; i servizi operativi alla salute sono stati molto più difficilmente accessibili; c’è stata la questione della scuola, con le difficoltà di quei bambini che non avevano la possibilità economica per poter seguire la DAD, l’insegnamento a distanza, perché non avevano a disposizione una rete o i dispositivi. Insomma, tutta una serie di cose che hanno incrementato gli ostacoli e le difficoltà di persone in grave difficoltà già prima della pandemia.
Per questo, tra le misure più importanti che lo Stato ha messo in piedi per occuparsi delle povertà e dei problemi di sussistenza, ci sono state due ordinanze della Protezione Civile: una a fine marzo 2020 e un’altra novembre 2020, che mettevano a disposizione dei comuni 400 milioni affinché andassero in buoni spesa e aiuti alimentari per le persone in difficoltà. I comuni hanno ottenuto le risorse per poterle poi distribuire, perché le amministrazioni locali sono a conoscenza di quelli che sono i gruppi sociali e le persone in difficoltà.
Rispetto alla seconda parte della domanda, relativa al nostro lavoro, a parte durante il periodo di pandemia iniziale, durante il quale abbiamo provveduto noi stessi a finanziare aiuti diretti a famiglie che sapevamo fossero completamente isolate e impossibilitate a procurarsi cibo, abbiamo lavorato su attività che potessero non far abbassare la guardia sul discorso dei diritti umani e del razzismo.
Abbiamo quindi messo in piedi l’Osservatorio nazionale contro le discriminazioni nello sport per chiedere la collaborazione di tutte le federazioni sportive italiane, di tutte le società a tutti i livelli, affinché ci sia un lavoro comune per combattere le discriminazioni e il razzismo in quegli ambiti, come lo sport, che – dopo la scuola e la famiglia – sono proprio gli ambiti dove le ragazze e i ragazzi si formano di più nella loro personalità e nel loro vivere sociale.
Abbiamo poi lavorato moltissimo sulle segnalazioni di discriminazione che ci sono pervenute e che non sono state poche. Soprattutto all’inizio, come ci ricordiamo e abbiamo visto in Italia, – ne abbiamo avuta anche la dimostrazione nel nostro ufficio- i nostri concittadini di origine orientale hanno subito anche violenze fisiche. Poi, una volta che, dopo alcuni mesi, chi doveva rendersene conto ha capito finalmente che i capri espiatori di origine asiatica non c’entravano nulla, il bersaglio è passato ad altri evergreen, come potrebbero essere gli ebrei. Abbiamo visto il linguaggio dell’odio online, degli atti dimostrativi fatti anche in luoghi fisici e ovviamente rivolti a quella parte di persone che sono più di facile bersaglio ormai da alcuni anni, che sono i migranti e le persone di origine africana.
Quindi quello che noi abbiamo cercato di fare è stato un lavoro di decostruzione di questi stereotipi e di queste false leggende dovute all’esistenza di untori o di persone che, in qualche modo, erano considerate la causa dei nostri mali. In estrema sintesi, il nostro lavoro è stato sia culturale che fatto di azioni concrete, per andare a prevenire e contrastare gli atti di discriminazione (virtuali o fisici) da parte dei privati, ma anche un linguaggio istituzionale che purtroppo alcune volte si è allineato al linguaggio dell’odio e alla ricerca del capro espiatorio per tornaconti politici.
Come è possibile capitalizzare gli sforzi dell’associazionismo e delle reti locali che, a causa della mancanza di risorse, di operatori specificamente dedicati e di uno stabile coordinamento, manifestano una limitata capacità di attivarsi con continuità sul tema delle discriminazioni?
È prevista la formalizzazione di una struttura di coordinamento continuativa che coinvolga i nodi territoriali?
Innanzitutto lo sappiamo: l’Italia è uno dei paesi più ricchi al mondo di volontariato e di associazionismo, dove c’è competenza e una tradizione religiosa e laica incredibile. Ovviamente le associazioni lasciate a se stesse, alle loro iniziative individuali, perdono quel potenziale assoluto e massimo che potrebbero avere.
Noi come UNAR, e questa notizia è abbastanza recente, proprio per recuperare il patrimonio di quanto realizzato in passato, abbiamo chiesto un finanziamento al Ministero dell’Interno con i fondi FAMI, per ricreare una rete di centri antidiscriminazione distribuiti su tutto il territorio, in grado di incrociare le informazioni e di fare non solo iniziative culturali e comunicazioni insieme, ma anche di affrontare caso per caso i fatti di discriminazione che giungono alla nostra attenzione.
Come rafforzare il ruolo dei Comuni italiani, in qualità di autorità locali a diretto contatto con i cittadini, per la prevenzione e il contrasto alle discriminazioni, e quali sinergie e collaborazioni sono possibili e auspicabili con UNAR?
Quale ruolo potrebbero avere i Comuni all’interno di un nuovo Piano nazionale contro il Razzismo?
Dal mio punto di vista i comuni hanno un ruolo fondamentale rispetto alla lotta alle discriminazioni e alla tutela dei diritti delle persone e dei diritti umani, sono anche più importanti dello Stato. Noi abbiamo a disposizione un patrimonio anche internazionale importante di reti di città che sono molto attive, come la Rete delle Città del Dialogo, nell’ambito del Programma Intercultural Cities del Consiglio d’Europa, la Rete Città Creative dell’Unesco, Eurocities.
Quindi la prima cosa che mi viene in mente è che le città italiane che non sono in rete, non coordinate con altre città europee che si occupano di questi temi, sarebbe molto utile che lo facessero, così il potenziale si amplia, le buone pratiche circolano, si possono prendere idee, creare scambi e avere poi, mettendosi tutti insieme, una forza politica anche molto importante a livello di lotta alle discriminazioni.
Per quanto riguarda le città italiane, come dicevo prima, probabilmente uno dei lavori più belli che una persona possa fare è proprio quello dell’amministratore, del sindaco. Perché in questo modo si ha la responsabilità di una comunità, che è il bene più prezioso che abbiamo nel nostro vivere comune, e fare il bene della comunità significa mettere insieme tutti, dal primo all’ultimo, ammesso che ci sia un primo e un ultimo. Quindi è una responsabilità grandissima perché ci sono tutta una serie di difficoltà sociali, anche di degrado da gestire. Però si possono e si devono dare delle soluzioni, non si può in nessun caso essere divisivi. Questo innanzitutto è il valore di essere amministratore.
Riguardo all’UNAR, riprendendo la seconda domanda: come possiamo lavorare insieme? Innanzitutto attraverso il rafforzamento delle reti: come quella di cui dicevo prima, la rete di centri antidiscriminazione dell’UNAR di cui i comuni potrebbero essere parte, assieme alle associazioni, essendo i cosiddetti “nodi territoriali antidiscriminazione”, come è stato in passato.
Faccio un esempio recentissimo: un avviso pubblico che abbiamo pubblicato la settimana scorsa per la costituzione o il rafforzamento di centri antidiscriminazione per le persone LGBT, a cui possono partecipare i comuni in forma singola o associata, mettendo in piedi dei centri antidiscriminazione mirati per dare sostegno alla fragilità di persone LGBT.
Poi l’UNAR ha già sostenuto concretamente ANCI in almeno due occasioni: una nell’aprile scorso, appena scoppiata la pandemia, quando UNAR ha messo a disposizione dei comuni italiani, attraverso ANCI, delle linee guida per la redazione dei regolamenti e degli avvisi comunali per la distribuzione dei buoni spesa e dei pacchi alimentari, affinché questi provvedimenti amministrativi non contenessero clausole di esclusione, specialmente nei confronti delle persone che ne hanno più bisogno. Purtroppo, alcuni comuni non hanno seguito queste linee guida, emanando provvedimenti che hanno escluso intere fasce di popolazione, specialmente quelle che non avevano la residenza nel comune. Tali atti amministrativi poi sono stati annullati dai TAR di competenza, poiché contenevano illeciti. I motivi di ciò sono stati, in alcuni casi, la volontà di usare tali provvedimenti come strumento politico, ma in altri una scarsa competenza delle amministrazioni locali su queste tematiche. È certamente auspicabile quindi che realtà e Reti di città virtuose che possiedono tali competenze- e che sono portatrici di messaggi di inclusione- come la Rete delle Città del Dialogo, possano crescere e allargarsi, acquisendo maggiore forza per la lotta alle discriminazioni.
Come UNAR abbiamo anche messo a disposizione dell’ANCI le linee guida per i regolamenti di edilizia popolare, anche qui affinché non ci siano clausole illegittime. Stiamo quindi parlando di documenti prodotti dall’UNAR fatti nell’esclusivo interesse dei municipi, affinché i loro atti amministrativi, specialmente quelli che vanno a sostenere le persone più in difficoltà, siano fatti correttamente, non escludano nessuno e non intasino, come spesso si fa, i tribunali di provvedimenti che poi vengono annullati.
Negli anni avete sempre organizzato Campagne d’impatto per la settimana di azione contro il razzismo. Quali sono i contenuti e messaggi che volete comunicare quest’anno?
Quest’anno l’abbiamo incentrato molto sul mondo dello sport perché, oltre alla nascita dell’Osservatorio nazionale contro le discriminazioni nello sport, abbiamo fatto un lavoro molto forte con la Lega di serie A, con quel cosiddetto calcio mainstream che ha più visibilità e quindi può mandare dei messaggi più efficaci e il più possibile diffusi fra la popolazione.
Keep racism out è il claim di questa campagna: è stato sostenuto da tutte le squadre di serie A, sarà sostenuto anche da tutte le federazioni nazionali sportive e messo a disposizione delle associazioni che si occupano di discriminazione e di antirazzismo, sia quelle che hanno vinto l’avviso che abbiamo pubblicato a dicembre 2020, sia quelle che non l’hanno vinto ma che ci hanno chiesto di poter utilizzare i materiali. Gran parte dei sindacati ha deciso di utilizzare questa campagna, così come organizzazioni territoriali, Confindustria e cooperative. Quindi, in un momento come questo abbiamo messo in piedi una campagna di comunicazione contro il razzismo che speriamo possa essere efficace proprio perché, nel momento in cui usciremo dalla pandemia, dobbiamo cercare di fare di tutto perché non ci sia un effetto rimbalzo, per cui le persone possano sfogare una frustrazione, come è comprensibile e lecito, ma che questa non vada a colpire come al solito le persone più fragili, le persone che hanno meno difese e che sono più facilmente attaccabili.
Questo è il lavoro che faremo durante questa settimana contro il razzismo e speriamo che, a parte UNAR, tante altre realtà facciano lo stesso.